giovedì 19 aprile 2012

Tre colori. Film Bianco.

Film Bianco di Kieslowski, 1994. Si tratta del secondo capitolo della triologia legata ai colori ed ai valori della rivoluzione francese. “Egualitè” ovvero uguaglianza.

Film su una coppia da uno strano rapporto, comincia in un tribunale di Parigi dove  lei chiede ed ottiene il divorzio da lui perchè il matrimonio non è stato consumato, l’uomo risulta impotente. Durante il processo lui mormora in un francese stentato “dov’è l’uguaglianza?”, ma non gli viene prestata attenzione. Il divorzio viene concesso e la donna si impadronisce del denaro di lui e lo manda su una strada. Lui è disperato, costretto a mendicare per strada incontra un suo connazionale (l’uomo è polacco) che lo aiuta a tornare in patria. Comincia quì una simpatica parentesi sulla capacità del protagonista di rifarsi una vita, descrivendo una società di approfittatori dove l’uomo di destreggia con estrema grazia. Riesce ad accumulare una grossa quantità di denaro. Trova nel passante che l’aveva fatto tornare in patria un valido amico, l”amicizia tra i due viene consolidata quando l’altro chiede al protagonista di sparargli al fine di ucciderlo. Quando spara per un momento il protagonista crede d’aver ucciso e l’altro d’esser morto, ma resisi conto di non aver compiuto il fatale gesto (i proiettili erano a salve) brindano ad una rinnovata passione per la vita e per la loro amicizia.

A questo punto decide di tendere un tranello all’amata ex moglie. La donna viene attirata in Polonia con la notizia della morte dell’uomo e dell’ingente somma di denaro che egli le ha lasciato. Ma l’uomo non è morto, ha finto la sua morte e si ripresenta a lei il giorno dopo il funerale, riescono finalmente ad avere un rapporto sessuale che sia appagante per entrambi e lei si rende conto di amarlo.

Ma al mattino la donna si sveglia sola ed incomincia la sua punizione. Viene incriminata di omicidio: l’uomo che per lo stato polacco risulta morto la incastra affinchè lei risulti la probabile assassina.

Eppure la consapevolezza che lui sia vivo e questo amore riscoperto non la fanno disperare, al contrario. La scena finale del film vede lei dietro le sbarre di una finestra di un carcere che sorridente dialoga con l’uomo tramite il linguaggio dei segni. E l’uomo la guarda piangendo.

Inizialmente non capivo se le lacrime dell’uomo fossero di gioia o di dolore, non capivo perchè avesse avuto bisogno di punirla. Perchè ripagare con la stessa moneta chi ci ha fatto del male? E il tentativo di suicidio dell’amico?  Ed è quì “l’uguaglianza” del titolo, il tema portante del film. I due ex coniugi si possono ritrovare sullo stesso piano solo dopo aver passato uguali dolori, uguali punizioni. Ora sono più uniti di prima, lei confortata nella certezza che si ritroveranno una volta scontata la pena, lui piangente per la lontananza di lei. Mentre il rapporto con l’amico si consolida dopo che sono passati per un esperienza di omicidio, suicidio, ricerca della morte.

L’ho trovato sconcertare perchè alla parola uguaglianza ho sempre associato sentimenti positivi, un’idea di comunione di vite e sentimenti, di status e riscatto. Pensavo che per arrivarvi servisse una vita di lotte, solidarietà, complicità, amore. Eppure quì l’uguaglianza raggela il sangue, come le atmosfere bianche e nevose del film. Quì si dimostra che per cercare l’uguaglianza non esiste amore per gli altri e soliderietà, ma solo dolore. Il dolore unisce più di qualsiasi cosa. Eppure da tante fredde, bianche macchinazioni riesce a riaffiorare un sentimento autentico. Quasi che i “bei” sentimenti quali amore, amicizia si instaurino solo a seguito di colpi bassi ed infinita sofferenza. Il cinismo dietro tutto questo è a sua volta raggelante.

E se le lacrime finali siano di gioia o di dolore non importa, si son dimostrati essere molto più vicini di quanto si possa pensare.

s.Else



(post precedentemente pubblicato su  http://youdisappearhere.tumblr.com/)

martedì 17 aprile 2012

Diaz, l'impossibilità di riflettere sulla violenza

Il g8 di Genova, il g8 del 2001, il g8 degli scontri più violenti tra manifestanti e forze della polizia, il g8 irripetibile in termini di violenza ed insensatezza. Cinematograficamente parlando è un g8 che ha colpito l'immaginario di un certo numero di autori: James McTeigue nella sua trasposizione del fumetto "V per vendetta" ha usato le immagini degli scontri di quei giorni per raccontare come "il governo soffocò nel sangue la protesta". Zack Snyder nel remake de "L'alba dei morti viventi" ha usato a sua volta le immagini degli scontri genovesi per i titoli d'inizio come un incipit al disordine più sconvolgente che seguirà nel resto del film (i morti che risorgono sono sempre più sconvolgenti). Ma parlare di ciò che è effettivamente successo, da dove venisse tanta violenza non era mai stato fatto. Nel 2003 il regista Lucio Pellegrini nel suo "Ora o mai più" parlò un po' del g8, il protagonista verso la fine del film si dirige a Genova ma viene fermato per strada dalla polizia e finisce in una caserma per un po' di giorni dove viene piacchiato e tenuto prigioniero. Ma neanche in quel caso si parlava veramente dei fatti.
Il film di Vicari, invece, parla dei fatti, ma solo di quelli. La pellicola comincia con le notizie della morte di Carlo Giuliani: il g8 e le sue proteste stanno per finire. Tramite dei flashback i vari personaggi raccontano come sono arrivati alla Diaz. La Diaz era una scuola elementare usata (assieme ad altri luoghi) come punto di raccolta, riposo: all'interno ci sono dei manifestanti, dei black bloc e ci sono dei giornalisti. Poi c'è la polizia composta da ragazzi/uomini sfiniti da giorni di scontri, uomini che non aspettano che un inutile rivalsa nei confronti dei manifestanti e dei black bloc contro cui non si sono potuti battere: hanno accumulato voglia di vendicarsi e di rigettare la violenza che hanno dentro. Viene quindi mostrata la decisione di assaltare la Diaz di notte senza bisogno dell'approvazione di un magistrato, viene mostrato come questa decisione venga presa a freddo, consci delle conseguenze. Il resto del film è sulle botte che vengono inflitte a chi era nella scuola. E poi sulle violenze di Bolzaneto: una caserma divenuta un lager per tre giorni dove furono portati tutti quelli che una volta usciti dalla Diaz erano ancora in grado di reggersi in piedi.

Il film è basato sui verbali e le testimonianze dei processi, visivamente ha un paio di buone idee: l'utilizzo di alcune immagini di repertorio prima per mostrare gli attacchi dei black bloc (la distruzione di un bancomat bancomat da parte dei rivoltosi ripreso dalle telecamere di videosorveglianza, episodio che scatenerà la sempre più furiosa polizia) e poi per mostrare i corpi martoriati dei ragazzi portati via dalle ambulanze dopo l'attacco alla Diaz. Tuttavia la scena più bella è quella precedente il fatale attacco, una ripresa dall'alto della città, le macchine della polizia che percorrono la strada principale a grande velocità, come un serpente luminoso che nella notte striscia tra i palazzi per attaccare l'inerme preda.

Per il resto ore ed ore di botte, urla, pianti, insensatezza. Un centinaio di persone che sono state sottoposte o torture fisiche e psicologiche da parte della polizia. Perchè? Non si sa il perchè, il film non lo dice. In quache punto del film si può intuire l'insensatezza dell'attacco notturno nella scuola, attacco definito da un poliziotto nei processi che sono seguiti come "macelleria messicana". Ma non si capisce mai veramente come quei poliziotti dalle facce immutabili abbiano potuto continuare, aver voglia di battere quei ragazzi come bestie. Il film non lo dice perchè si pone come una cronaca, i fatti raccontati dalle vittime negli atti giudiziari sono alla base della sceneggiatura. Non da giudizi, non trae conclusioni, non invita ad abbracciare teorie complottiste, il film si ferma ad inquadrare quella agghiacciante, insensata, continua, cieca violenza. Le conclusioni le potrebbe trarre lo spettatore, io ci ho visto la polizia che smette di proteggere l'individuo perchè qualcuno più in alto pensa che "l'ordine" sia minacciato e che questa minaccia vada sradicata via senza indugio.
Ma la verità è che un atto simile non ha motivi come non ha giustificazioni.

Questo film, che non pone analisi ma che si limita a raccontare,  non è un bel film, non è un brutto film, va visto perchè è ciò che abbiamo di più vicino al racconto di quei giorni sinistri.

lunedì 9 aprile 2012

Romanzo di una strage

Il 12 dicembre del 1969 una bomba esplode a piazza Fontana a Milano, nella banca dell'Agricoltura, è stata posta nel momento e nel luogo in modo da fare il più alto numero possibile di vittime. L'Italia è immobile di fronte a tanto orrore, a tanta brutalità. Un'atto di deliberata violenza  ad opera di chi? Per quale motivo? Uno dei (mis)fatti più oscuri della storia Italiana: oscuro per la sua lunga risoluzione, per le numerose contraddizioni, per i numerosi capri espiatori ed i mancanti colpevoli ufficiali, per i continui depistaggi ed i tanti personaggi ambigui. Un racconto difficile da illustrare le cui mille sfaccettature rischiano di scontentare sempre qualcuno: tale versione non è stata bene esposta, quel personaggio mal delineato, tale dettaglio tralasciato. Ma i rischi maggiori sono due: dare una risoluzione di parte e/o mettere troppe versioni nella labile trama rendendo il racconto ancora più caotico ed ingarbugliato.
Detto questo l'impresa che si è posto Marco Tullio Giordana con "Romanzo di una strage" (2012) è ardua e toccante.Per dare ordine il regista decide di dividere l'opera in in capitoli individuando in Calabresi (interpratato da Valerio Mastadrea) il filo conduttore.
Luigi Calabresi (Roma 1937-Milano 1972) nel 1969 è commissario presso la questura di Milano affari politici in unperiodo di dura contestazione e tensione tra stato e cittadini. Il lungometraggio comincia con il rapporto con Giuseppe Pinelli (Milano 1928 – Milano1969, iterpretato da Pirefrancesco Favino) proseguendo con l'attentato di piazza  Fontana e gli immediati fermi degli anarchici tra cui lo stesso Pinelli passando per la sua tragica e ambigua fine, procedendo quindi con la campagna di diffamazione di Calabresi fino alla morte di quest'ultimo. Tra la morte di Pinelli e quella di Calabresi vengono illustrate le indagini ufficiali, ufficiose e parallele sulla sanguinosa strage. 
Pinelli (Favino) e Calabresi (Mastandrea)
Tramite l'onorevole Moro (Maglie 1916 – Roma 1978, interpretato da Fabrizio Gifuni) abbiamo la figura della "ragione di stato" dipinta inizialmente come savia e salvifica, dai toni nobili e pacati, gli stessi toni che poi utilizza per giustificare l'insabbiamento del caso. Insabbiamento in nome d'una Repubblica giovane soggetta a continui problemi d'ordine interno che non può permettersi di dubitare del suo contraltare, lo Stato, Stato che ha operato contro il paese in nome di dubbie minacce ed ignoti alleati.
Le piste mostrate con dovizia di particolari sono quella rossa e quella veneta. Ma onde evitare di lasciare le versioni scomode e rischiose senza voce Giordana da ad esse fiato tramite le indagini parallele di Calabresi che si scopre raggirato ed impotente. Le versioni pù audaci sono rese dal dialogo che il commissario milanese ha con (??),  sono le versioni più torbide, prive di prove e che in un aula di tribunale sarebbero distrutte da cavilli giudiziari o dichiarate calunniose. Le versioni figlie della libertà di pensiero e della capacità dell'intellettuale di ragionare lucidamente sui misfatti e trovare i colpevoli, trovare la forza di dire la verità anche quando è soffocata da sotterfugi ed omissioni e di trovarsi impotente di fronte ad essa. Una verità che non può essere filmata ma può solo essere raccontata o scritta come fece Pasolini nel famoso "Io So" che trova nel film la perfetta risoluzione su pellicola. Non può essere filmata perchè la Storia non è mai certa, è come un romanzo dove le scene più banali sono chiare a tutti mentre le altre rischiano di perdersi dietro la parola "ufficiale" e passare inosservate, queste quindi non corrispondo ad un immagine precisa ma sono solo parole. Parole che meritano d'essere raccontate perchè lì in mezzo giace la verità.
Il titolo del film è perfetto perchè combacia perfettamente con il suo merito ovvero questa idea di storia che a causa delle molteplici omissioni assume la forma di romanzo.
Con questo non intendo esprimere giudizi sulle versioni illustrate nel lungometraggio poichè non sono abbastanza documentata sui fatti per farlo, però riconosco all'opera il gusto di raccontare alle generazioni future questa ingarbugliata storia recente.

Ulteriori Visioni, ovvero:

Ulteriori Visioni è un titolo dovuto ad una certa pigrizia nel cercare nomi fantasiosi e nel riscontrare che quelli che avevo in mente erano già occupati. Sarà un blog in cui mi occuperò di ciò che appunto vedo, in tutte le sue accezioni. Soprattutto mi occuperò di cinema, dei film che ho visto o che vedrò su cui ho qualcosa da dire o da ridire. Film come visione e l'opinione  su di essi come ulteriore visione, come punto di vista. Nell'epoca della libertà d'espressione e di parola lasciata a chiunque mi impadronisco anche io di tale diritto alla faccia della professionalità.