sabato 6 ottobre 2012

Balene d'agosto

A volte si trovano quei film che sono delle piccole parle, film impeccabili nella recitazione e nella resa, "Balene d'agosto" è uno di questi.
Uscito nel 1987,  l'ultimo film di Linsday Anderson è una meravigliosa resa della vecchiaia: troviamo le vecchie glorie del cinema da Bette Davis a Lillian Gish (una delle star del cinema muto) passando per Ann Sothern fino al più "giovane" del cast Vincent Price: classe 1911.
La storia nel film non esiste, troviamo queste due anziane sorelle (Davis e Gish) che trascorrono l'estate nella casa nel Maine, una casa sul promontorio con vista sul mare da dove da ragazze vedevano passare le balene nel mese di agosto. Ormai anziane vivono una routine densa di cose da fare, raccontare, ricordare e sperare, circondate da amici d'infanzia (Sothern) e glorie della vecchia europa (Price). E le due sorelle che hanno un loro quilibrio che sembra vacillare trovano forza l'una nell'altra e nell'incerto futuro, nel non pensare che sia mai troppo tardi. Le balene non passano davanti al promontorio da 50 anni, ma l'importante è guardare verso il mare e sperare che prima o poi ritornino.
Per tutto il film non accade nulla di concreto, giunti tutti alla fine dei propri giorni i vari personaggi devono cercare il modo per andare avanti, gloriandosi delle memorie perdute e sperando che i ricordi non sbiadiscano, consci che sei mesi di vita senza patente sono tanti, ma con un'inarrestabile voglia di guardare al futuro. La celebrazione della vecchiaia in tutti i suoi aspetti non è mai stucchevole o patetica: il declino è inarrestabile ma si prende il buono che c'è. Ma in fin dei conti non solo è una celebrazione alla vecchiaia, bensì della vita intera, di cui la vecchiaia è l'ultimo atto su cui si possono ancora costruire altri attimi, infiniti importanti attimi. L'ottima transposizione è dovuta sicuramente al fatto che per quasi tutti gli attori e per il regista siamo effettivamente all'ultimo atto (la Davis morì due anni dopo e per il regista siamo alla sua ultima pellicola) e la sincerità degli intenti traspare in ogni fotogramma.

Un film da vedere, con degli attori strepitosi e capace di raccontare uno spaccato di vita con una delicatezza unica.

domenica 2 settembre 2012

Heil to the Batman!

The Batman! Il terzo film di Nolan! Riuscitissimo? Prevedibilissimo? Pessimo?
Ho visto il film più di un mese fa ma ne scrivo solo ora, un po’ per pigrizia ed un po’ perché volevo prima leggermi le altrui reazioni, un po’ perché se ormai  lo ha visto tanta gente devo preoccuparmi di meno degli spoiler.

La narrazione della storia comincia 8 anni dopo le vicende de “Il Cavaliere Oscuro”: Bruce Wayne è più misantropo di prima, tutti credono Batman un criminale, la città è apparentemente sicura e l’entrata in scena del terrorista Bane farà precitare le cose. Sia  Batman che Bruce Wayne sono messi  fuori gioco e Gotham diviene ostaggio di Bane: occupa la città e la tiene sotto scacco con la minaccia di far esplodere una bomba nucleare.

Ed ora cosa ci faccio con tutti questi personaggi?
I punti negativi del film sono la non riuscitissima gestione di troppi personaggi  a cui non viene dato il giusto spessore. Il cattivo numero uno, Bane, è solamente nerboruto e cattivissimo e non va oltre all’essere nerboruto  e cattivissimo, peccato sprecare in questo modo un attore come Tom hardy.Gary  Oldman/ James  Gordon Viene relegato su un letto di ospedale tutto il tempo, così come Batman passa metà del tempo in un pozzo a fare per l’ennesima volta i conti con se stesso.  Ad un improbabile Anne Hathaway è affidato il ruolo di Catwoman, anche se non viene mai accreditata con questo nome: non citare Catwoman è un modo per fare di Selina Kyle una semplice ed ambigua ladra anziché una eroina fumettistica. Ma al contempo questa è in grado di saltare da un palazzo all’altro su tacco dodici e di mettere a tappeto 10 uomini contemporanament.  Sì perché tutta la triologia di Nolan risente di questa indecisione sul fare un film fumetto o meno,  da una parte dota tutti i personaggi di caratteristiche vere e veritiere, dall’altra quando può si abbandona alla scelta  improbabile e di effetto.

Altro problema sono  i buchi di sceneggiatura, meravigliosamente raccolti in questo video:
 


Detto questo, passo al pregio del film che poi è il pregio di Nolan stesso: la capacità di raccontare storie, di farlo in modi sempre diversi (da Memento  a The Prestige) ma sempre efficaci. L’amore per la narrazione e per il districarsi in mille sottotrame è al suo meglio, il lungo film non stanca mai. Ogni volta Batman è battuto: sul piano finanziario, sui suoi affetti, su quello fisico ma lo spettatore è lì ansioso di sapere cosa accadrà; è quella la bellezza del film. Il regista continua ad offrire allo spettatore problemi,  soluzioni e problemi fino al finale a libera interpretazione.
New York! Ehm...Gotham City..
Quindi  il film è più che piacevole da guardare, piacevole nonostante la grossa ambiguità di fondo. Credo che sia uno dei film più “fascisti” degli ultimi anni, sono cosciente del rischio nell’usare questo vocabolo eppure era ciò che continuavo a pensare mentre lo guardavo. Non tanto per il mito del giustiziere mascherato, ma per l’inquietante personaggio di Bane. Quest’ultimo pur non essendo mai ben delineato è messo a capo di un esercito di diseredati,  diseredati che guarda caso coincidono con i criminali. Per quasi tutto film Gotham (mai come negli altri film identificabile  con la città di New York) è occupata da questo manipolo di sbandati che aggrediscono le abitazioni dei ricchi alienando il concetto di proprietà privata, instaurano un tribunale  dove il concetto di giustizia è ribaltato essendo  i criminali a giudicare gli “innocenti”.  La distruttività di questa società è ribadita anche dalla bomba, destinata ad esplodere, data in custodia agli aguzzini, ai criminali, come se una società così chiusa e così sbagliata sia coscientemente destinata ad autodistruggersi. La città/società rimane oggettivamente congelata (il fiume che la circonda gela) bloccando così i collegamenti col resto del mondo, una fredda tensione tra l’america (giusta ed impotente) e Gotham, un luogo da dove niente può uscire, e l’accostamento con il blocco sovietico e la guerra fredda è facile ed inevitabile. 
Ma una visione così apocalittica di un mondo socialista non è estranea all’ideologia USA, il problema è l’avvicinamento che può suggerire l’esercito di Bane con il movimento di occupy Wall Street: l’assalto alla borsa, la necessità che ha chi non ha nulla di avere ciò che ha chi ha tutto, la punizione finale che questo mondo corrotto merita (la tesi della Cotillard), come se la rivendicazione alla condivisione delle risorse e dei  beni sia un’idea malata di per se.

Eppure nonostante l’ideologia non condivisibile il film riesce a coinvolgerti e a schierarti con il sofferente Cavaliere Oscuro, simbolico portatore di giustizia. Direi, inevitabilmente riuscito, Heil to the Batman!


Last but not least:  Bale è costantemente figo.

martedì 8 maggio 2012

The Woman, Lucky McKee

Il cinema horror soffre spesso di essere girato in cattive condizioni: pessimi attori, trame sconclusionate, fotografia dubbia, ecc. Questo perchè fa parte di una categoria "di genere" che è stata spesso sfruttata a soli fini commerciali (il sangue ed il sesso sono sempre una buona esca) sfornando prodotti che possono risultare grotteschi. Accanto a questo operò ci sono delle perle, ci sono dei grandi registi, ci sono dei dei film incredibili. Ultimamente il cinema horror sembra essersi arrestato a rebot fracassoni di vecchi film, ovvero prendere importanti saghe di un tempo e farle ripartire dal primo eposodio aggiornandolo agli anni 2000, tra questi remake senz'anima abbiamo "Nightmare on a Helm street", "Halloween","L'ultima casa a sinistra", "Non aprite quella porta", "Le colline hanno gli occhi" e molti altri. Persino il ludicissimo "Scream 4" di un sagace Wes Craven è l'ennesimo rebot, rebot che gioca su essere tale e fa per la quarta volta dell'ottimo meta-cinema.
Insomma sembrerebbe che le idee scarseggino ad Hollywood, sembrerebbe anche che escano troppi film per adolescenti privi di contenuti che giocano tra lo slayer e la casa infestata Oppure ci si dirige verso la banale tortura senza suspence che gioca sul disgusto/gusto dello spettatore, vedi la categoria torture porn con titoli come "Hostel" e la serie "Saw".

Però ci sono ancora autori in grado di creare idee nuove e di creare nuovi tipi di orrore, tra questi sicuramente il poco conosciuto Lucky McKee. Americano classe '75 ha sfornato negli ultimi 10 anni un certo numero di pellicole notevoli, creando addirittura un grande piccolo cult movie in "May" (2002).

Nel 2011 esce "The Woman" ultima fatica del regista che sarebbe un sequel di "Offspring" entrambi adattati dai chiacchierati romanzi di Ketchum. Viene presentato al Sundance dello stesso anno dove si tira addosso accuse di misogenia di quelli che non hanno visto bene il film (forse troppo tempo a tenere coperti gli occhi?).

Il lungometraggio narra di una famiglia apparentemente perfetta. C'è la madre, una sempre superba Angela Bettis assidua collaboratrice di McKee, innamorata del marito e succube di lui in ogni decisione, in un atteggiamento di remissione che le sarà fatale. La figlia adolescente, prossima al college recentemente trasformatasi in una ragazza poco comunicativa custode d'un difficile segreto. Il padre stilizzazione di maschio dominante e portatore di un'assenza di rispetto per le donne via via sempre più lampante nel film. Il figlio adolescente, prototipo del padre in costruzione. Ed infine l'ingenuità assoluta, la bambina.
Angela Bettis
Al ritorno da una battuta di caccia il padre porta a casa una nuova preda, un trofeo inusuale ed intrigante: una donna selvaggia, incapace di parlare e che preferisce usare la bocca per addentare qualunque umano le si avvicini troppo. L'uomo decide di rinchiuderla nella rimessa col proposito di rieducarla, ma l'intento si rivela più vicino alle sevizie che all'educazione, il lato sadico dell'uomo si riversa su questa donna in un escaletion di violenze e soprusi. Coinvolgendo anche  il resto della famiglia, una famiglia sbigottatita ma remissiva dove il figlio emula il padre anche nelle torture inflitte alla donna, mentre la figlia adolescente è l'unica che fraternizza con la prigioniera.
La situazione precipiterà in un sanguinoso finale con qualche colpo di scena, tanto sano gore ed un'ultima destabilizzante scena.

Come in altri suoi film anche quì McKee presenta una situazione apparentemente normale dove man mano si aggiungono dettagli sinistri, fino ad arrivare all'acmè di violenza nel finale a cui lo spettatore è ben lieto di partecipare dopo tanta ansia accumulata. Il tutto supportato da una buona fotografia, un ritmo ben calibrato, un cast di buoni attori: oltre alla già citata Angela Bettis c'è anche un'animalesca, mostruosa Pollyanna McIntosh (la donna catturata). Da ricoscere al regista anche un raro talento nello scegliere la colonna sonora, anche se stavolta invece di avvalersi della collaborazione di Jaye Luckett si affida a Sean Sepillane.

Il film ha ricevuto critiche di misogenia per le torture a cui è sottoposta la donna, ma critiche non potevano che essere più errate: il cinema di McKee è spesso al femminile, ma non un femminile ordinario bensì quello più disturbante, in "May" si trattava d'un outsider incapace di avere amici con cui era impossibile non fraternizzare. Quì invece abbiamo una creatura che non comunica, che viene presentata come nemica perchè selvaggia, perchè cannibale, ma il suo essere donna disturba la famiglia. Disturba il padre che non è in grado di avere rapporti col gentil sesso che non siano costruiti su timore e minacce, e trovarsi una creatura simile davanti non può che liberare ancora di più i suoi istinti. L'uomo è l' l'archetipo di un'odio e di un male latente, intrappolato in una società che crede giustamente di rappresentare, una società dentro la quale però è intrappolato incapace di sfogare i suoi feroci istinti. La sua misogenia è imperante trova nella donna la sua nemesi.
The Woman ( Pollyanna McIntosh)
La donna disturba la madre che la vede come una minaccia, una madre che ha perso la capacità di agire soggogata come è dall'uomo, gli atti di ribellione tardivi e le poche timide domande non la salveranno, essa ha delegato le sue azioni al suo uomo perdendo tutto, anche la possibilità di redimersi.
Ed i figli sono duali: da una parte il maschio pronto a fare la fine del padre, incapace di ricevere critiche e di migliorarsi. Dall'altra le due ragazze dove la più grande è in preda a dubbi e cerca d'accogliere la donna, ma l'unica a riuscirci veramente perchè priva di pregiudizi è la più piccola. Una bambina che non era ancora stata educata a piegarsi alla società, all'uomo di casa, che vede nella creatura segregata un essere triste, una nuova famiglia.
La creatura selvaggia deve essere restituita alla libertà perchè nella sua brutalità essa rappresenta l'essenza della libertà, libera dalle costrizioni e dalle regole anche più basilari della società. E' la prima donna, è l'essere primitivo, ma anche l'essere puro, non conosce bene e male, non conosce giusto e sbagliato, il suo cannibalismo è funzionale alla sua parte animale, al suo sostentamento. La violenza che lei genera è viscerale e risponde a torti subiti, quella della famiglia civilizzata invece è una violenza contaminata, disturbata da privazioni, frasi non dette, la famiglia civilizzata tenta di negare il proprio primitivismo.
Questo scontro di violenze e di civiltà non ha a che fare con la misogenia, ha a che fare con istinti ancestrali, il confronto con la natura da sempre risultati non calcolabili. E la resa di tutto questo è perfetta.
Da vedere, per stomaci forti.

venerdì 4 maggio 2012

San Michele aveva un gallo, ma noi l'abbiamo venduto a qualcun altro.




Nel 1976 dopo qualche travaglio per la produzione e la distribuzione è uscito un film intitolato “San Michele aveva un gallo” di Paolo e Vittorio Taviani. La storia narra di un rivoluzionario che nel 1870 con un atto dimostrativo cerca di dare il grano ai cittadini senza fargli pagare le tasse, ma lo popolazione non comprende il suo gesto e lo fa arrestare. Una volta condannato all’ergastolo passa il resto della sua vita a confortarsi pensando che il suo gesto sia servito a mettere le basi per la rivoluzione e che i giovani sovversivi lo ringrazieranno. Passano gli anni e durante il traferimento da una prigione all’altra ha modo di parlare con due compagni più giovani, i quali anzichè lodarlo denigrano il suo operato tipico dei primi rivoluzionari, l’uomo distrutto si lascerà a quel punto morire.
Il film non è che la metafora molto esplicita della contrapposizione tra socialismo utopistico e socialismo scientifico, delle critiche che all’epoca il primo svolse al secondo. Ma può essere anche la metafora, meno esplicita, delle diverse correnti di protesta che a partire dal 1968 avevano sconvolto l’Italia post-bellica: risultava ormai obsoleta la pura utopia, così come slogan tipo “immaginazione al potere” e si pensava di andare verso una maggior pragmaticità.
Insomma un film ben girato ben recitato, che omaggia i bellissimi paesaggi italiani (dall’iniziale Città della Pieve alla finale laguna Veneziana) e che disegna un’epoca in maniera intelligente e delicata. Uno di quei film che non andrebbe dimenticato insomma.
Eppure in Italia non è reperibile, non è commerciabile, non c’è, non lo trovi. Lo puoi però trovare in Spagna! Sì i cari cugini spagnoli hanno questo film nonostante nella produzione ci sia anche la Rai..buffo no? Ma non ci meravigliamo neanche troppo, perchè va ad aggiungersi alla lunghissima lista dei talenti sprecati. Sì perchè trovo che dimenticare un film del genere sia simile a far andare i monumenti in rovina o “sfruttarli” male (il foro romano ha lo stesso numero di visitatori del Mtropolitan Mseum di New York ma la metà del fatturato), simile alla dispersione dei cervelli (se ne vanno gli scienziati e persino gli artisti). Insomma è un piccolo grande punto in meno nella nostra storia e nella nostra cultura che invece di essere ricordate e celebrate vengono più facilmente sotterrate o trattate come un peso, quando in realtà, a parer mio, assomigliano di più ad una risorsa.

(questo post era presente nel mio altro blog, è stato scritto il 13/4/2011)

we love silvio, sempre e comunque



  
 Avrei dovuto scrivere questo post prima, ma il mio più grande talento è rimandare inutilmente e continuamente le cose.
L’altro giorno su “La7”, il canale più ricco di approfondimenti da un anno a questa parte, hanno dato il tanto chicchierato “Silvio Forever”. Trattasi di un documentario girato da Roberto Faenza, che avvalendosi della collaborazione di Stella e Rizzo (quelli della “Casta”), ricostruisce la vita mediatica di Berlusconi tramite le sole immagini di repertorio e le interviste da lui rilasciate nelcorso degli ultimi 20 anni.
Dati i nomi dei componenti al progetto è facile etichettare il progetto come di sinistra, o come comunista (parola ultimamente troppo spesso abusata, al limite tra l’insulto ed il complimento), ma a vederlo penso che qualsiasi sostenitore del cavaliere ne uscirebbe esaltato e non indignato.
Sì perchè l’idea di raccontare la vita di Berlusconi dallo stesso Berlusconi non aggiunge e non toglie niente a ciò che già si sa, se lo si ama lo si amerà ancora di più, se lo si odia lo si odierà ancora di più. L’infanzia e la giovinezza estratte dalle sue inteviste sono uno dei pezzi più melensi ed esagerati che si possano sentire, lui poverissimo che si impegna in una marea di lavori, che qualunque cosa faccia la faccia benissimo, che improvvisamente passi da dormire su un divano all’età di 16 anni ad avere a 21 grazie all’aiuto del padre i soldi per comprare terreni e costruire ben quattro palazzine. QUATTRO! Il tutto narrato con quel pizzico di orgoglio per l’arte di arrangiarsi da soli che infiammerebbe gli animi dei suoi ammiratori. Evidentemente questo basta a cancellare la domanda generale, che a me viene spontanea, dove cazzo li prendi i soldi per quattro palazzine? M a questo non è un film per farsi domande, perchè la parola è data sempre e solo a lui, che invece di dare spiegazioni si lancia in simpatici aneddoti, barzellette e canzoncine.
Segue quindi il racconto della sua crescita con le tv private ed il suo completo cambio di attengiamento per la discesa in campo in politica. Molto belli i pezzi in cui vengono ricordate le opinioni di Montanelli circa la sua figura di politicante, “Berlusconi è il miglior piazzista del mondo”. Ed impressionante la campagna elettorale lanciata per Forza Italia che viene descritta come una campagna pubblicitaria: “per lanciare il partito abbiamo usato le stesse tecniche che si usano per lanciare un nuovo marchio nel mercato”… canzoncina annessa!
Continua quindi la sua avventura politica (non ancora terminata) ed i primi guai giudiziari e la solita manfrina che sentiamo da 17 lunghi anni: sono oggetto di persecuzione da parte dei soliti invidiosi. Un mantra che probabilmente Silvio si ripete ogni mattina visto che come ricorda un sagace Montanelli (?)”Ha un concetto distorto della verità, a forza di ripetere tutte quelle bugie finirà per crederci anche lui”.
L’ultima parte del documentario si concentra sul divorzio dalla moglie ed i vari scandali sessuali che vedono B protagonista sotto un’altra luce, il tutto in netta contrapposizione col buon uomo di famiglia che finora si era costruito.
E poi fine, e poi ti dici ma chi me lo ha fatto fare di vedere in un concentrato le disgrazie di questo paese? E ti ricordi che “Blob” svolge questo lavoro ogni sera dal 1989 su vari personaggi politici ed anche su lui, su Berlusconi. E ti si fa un nodo allo stomaco e ripensi che tanto chi ama B ormai crede in quel mantra e che quel concetto di verità distorta è nell’animo di tutti gli italiani, che per alcuni di loro un Montanelli, un Fo, un magistrato, una piazza gremita di gente sono solo oppositori invidiosi di quel piccolo grande uomo che si è fatto da solo. E che con orgoglio diranno che amano silvio, sempre e comunque.
 
 
 
 

Amore di mamma.

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(questo post era già stato scritto sul mio altro blog il 10/7/2011)

Benvenuti a Zombieland


Nell’ultimo decennio sono tornati di moda gli zombie, dopo il remake di Snyder del capolavoro Romeriano “The Dawn of the Dead” (2003) quasi ogni anno è uscito un film o una serie televisiva con protagonisti gli zombi. Nel 2009 gli americani hanno voluto parlare di zombi con ironia e leggerezza e ci hanno provato con “Benvenuti a Zombieland”. 

In un mondo ormai dominato da zombi, tanto da aver cambiato il nome da “U.S.A.” a Zombieland, un presunto nerd sopravvive grazie ad una serie di regole che vengono impresse sullo schermo ogniqualvolta il protagonista le enunci. Il ragazzo vaga in questo nuovo mondo assieme a degli scanzonati compagni di viaggio: due sorelle truffatrici ed il solito personaggio che c’è in tutti questi film che sembra “nato apposta per fare il culo agli zombi”. Questi personaggi sono tutto ciò che rimane del mondo che c’era una volta e per ricordarlo anche a se stessi usano tra di loro il nome della città di provenienza. La combriccola raggiunge Hollywood dove trova un fantastico Bill Murray che interpreta se stesso, anche lui sopravvissuto alla apocalisse e che passa le giornate truccato da non-morto per poter giocare indisturbato a golf. Il legame tra il gruppo si farà sempre più solido, diventati ormai una famiglia dopo l’ultima sanguinosa sparatoria e pronti ad affrontare assieme l’avvenire: capiranno di doversi lasciare alle spalle il mondo a cominciare dal ritrovare le loro identità nei loro nomi di battesimo anziché nei loro natali.

Il film scorre piacevolmente grazie ad una sceneggiatura ben scritta (nonostante possa risultare un po’ troppo piegata a fini comerciali), a dei buoni dialoghi, a degli attori bravini ed ad un buon ritmo. Bill Murray con la sua espressione sardonica è bravissimo come al solito ed i ripetuti omaggi a “Ghostbusters” sono sempre spassosi. Le situazioni proposte sono a metà tra il clichè e l’insolito. Nei clichè aggiungerei le ingenuità finali commesse dalle due sorelle verso la fine: dopo tante regole di sopravvivenza decidono di visitare un Luna Park ed accandere TUTTE le luci, gli zombi sono morti non ciechi! 

Lo stralunato zombi-bill
 Detto questo la pellicola rimane puramente ludica: non ci sono riflessioni, non c’è un mondo alla deriva (se non fosse per l’apocalisse stessa), non ci sono umani costretti a perdere la propria presunta umanità per adattarsi a questo nuovo terribile scenario, gli zombi non sono metafora di nulla. E allora cosa sono gli zombi in questo film? Sono delle simpatiche ed aggressive comparse, deve essere infatti chiaro che zombieland non è film di zombie, bensì è film dove ci sono anche degli zombi funzionali alla trama.
Può non piacere se ci si aspetta di vedere appunto un film di zombi, non per forza un horror ma magari una intelligente parodia, ma qui c’è solo una storiella d’amore e di famiglie ritrovate piena battute giuste e con gli zombi come comparse. Se si vuole vedere un film di zombi in chiave ironica cercate l’inglese “Shawn of the Dead”, altrimenti godetevi questa simpatica commediola romantica in salsa splatter.

giovedì 19 aprile 2012

Tre colori. Film Bianco.

Film Bianco di Kieslowski, 1994. Si tratta del secondo capitolo della triologia legata ai colori ed ai valori della rivoluzione francese. “Egualitè” ovvero uguaglianza.

Film su una coppia da uno strano rapporto, comincia in un tribunale di Parigi dove  lei chiede ed ottiene il divorzio da lui perchè il matrimonio non è stato consumato, l’uomo risulta impotente. Durante il processo lui mormora in un francese stentato “dov’è l’uguaglianza?”, ma non gli viene prestata attenzione. Il divorzio viene concesso e la donna si impadronisce del denaro di lui e lo manda su una strada. Lui è disperato, costretto a mendicare per strada incontra un suo connazionale (l’uomo è polacco) che lo aiuta a tornare in patria. Comincia quì una simpatica parentesi sulla capacità del protagonista di rifarsi una vita, descrivendo una società di approfittatori dove l’uomo di destreggia con estrema grazia. Riesce ad accumulare una grossa quantità di denaro. Trova nel passante che l’aveva fatto tornare in patria un valido amico, l”amicizia tra i due viene consolidata quando l’altro chiede al protagonista di sparargli al fine di ucciderlo. Quando spara per un momento il protagonista crede d’aver ucciso e l’altro d’esser morto, ma resisi conto di non aver compiuto il fatale gesto (i proiettili erano a salve) brindano ad una rinnovata passione per la vita e per la loro amicizia.

A questo punto decide di tendere un tranello all’amata ex moglie. La donna viene attirata in Polonia con la notizia della morte dell’uomo e dell’ingente somma di denaro che egli le ha lasciato. Ma l’uomo non è morto, ha finto la sua morte e si ripresenta a lei il giorno dopo il funerale, riescono finalmente ad avere un rapporto sessuale che sia appagante per entrambi e lei si rende conto di amarlo.

Ma al mattino la donna si sveglia sola ed incomincia la sua punizione. Viene incriminata di omicidio: l’uomo che per lo stato polacco risulta morto la incastra affinchè lei risulti la probabile assassina.

Eppure la consapevolezza che lui sia vivo e questo amore riscoperto non la fanno disperare, al contrario. La scena finale del film vede lei dietro le sbarre di una finestra di un carcere che sorridente dialoga con l’uomo tramite il linguaggio dei segni. E l’uomo la guarda piangendo.

Inizialmente non capivo se le lacrime dell’uomo fossero di gioia o di dolore, non capivo perchè avesse avuto bisogno di punirla. Perchè ripagare con la stessa moneta chi ci ha fatto del male? E il tentativo di suicidio dell’amico?  Ed è quì “l’uguaglianza” del titolo, il tema portante del film. I due ex coniugi si possono ritrovare sullo stesso piano solo dopo aver passato uguali dolori, uguali punizioni. Ora sono più uniti di prima, lei confortata nella certezza che si ritroveranno una volta scontata la pena, lui piangente per la lontananza di lei. Mentre il rapporto con l’amico si consolida dopo che sono passati per un esperienza di omicidio, suicidio, ricerca della morte.

L’ho trovato sconcertare perchè alla parola uguaglianza ho sempre associato sentimenti positivi, un’idea di comunione di vite e sentimenti, di status e riscatto. Pensavo che per arrivarvi servisse una vita di lotte, solidarietà, complicità, amore. Eppure quì l’uguaglianza raggela il sangue, come le atmosfere bianche e nevose del film. Quì si dimostra che per cercare l’uguaglianza non esiste amore per gli altri e soliderietà, ma solo dolore. Il dolore unisce più di qualsiasi cosa. Eppure da tante fredde, bianche macchinazioni riesce a riaffiorare un sentimento autentico. Quasi che i “bei” sentimenti quali amore, amicizia si instaurino solo a seguito di colpi bassi ed infinita sofferenza. Il cinismo dietro tutto questo è a sua volta raggelante.

E se le lacrime finali siano di gioia o di dolore non importa, si son dimostrati essere molto più vicini di quanto si possa pensare.

s.Else



(post precedentemente pubblicato su  http://youdisappearhere.tumblr.com/)

martedì 17 aprile 2012

Diaz, l'impossibilità di riflettere sulla violenza

Il g8 di Genova, il g8 del 2001, il g8 degli scontri più violenti tra manifestanti e forze della polizia, il g8 irripetibile in termini di violenza ed insensatezza. Cinematograficamente parlando è un g8 che ha colpito l'immaginario di un certo numero di autori: James McTeigue nella sua trasposizione del fumetto "V per vendetta" ha usato le immagini degli scontri di quei giorni per raccontare come "il governo soffocò nel sangue la protesta". Zack Snyder nel remake de "L'alba dei morti viventi" ha usato a sua volta le immagini degli scontri genovesi per i titoli d'inizio come un incipit al disordine più sconvolgente che seguirà nel resto del film (i morti che risorgono sono sempre più sconvolgenti). Ma parlare di ciò che è effettivamente successo, da dove venisse tanta violenza non era mai stato fatto. Nel 2003 il regista Lucio Pellegrini nel suo "Ora o mai più" parlò un po' del g8, il protagonista verso la fine del film si dirige a Genova ma viene fermato per strada dalla polizia e finisce in una caserma per un po' di giorni dove viene piacchiato e tenuto prigioniero. Ma neanche in quel caso si parlava veramente dei fatti.
Il film di Vicari, invece, parla dei fatti, ma solo di quelli. La pellicola comincia con le notizie della morte di Carlo Giuliani: il g8 e le sue proteste stanno per finire. Tramite dei flashback i vari personaggi raccontano come sono arrivati alla Diaz. La Diaz era una scuola elementare usata (assieme ad altri luoghi) come punto di raccolta, riposo: all'interno ci sono dei manifestanti, dei black bloc e ci sono dei giornalisti. Poi c'è la polizia composta da ragazzi/uomini sfiniti da giorni di scontri, uomini che non aspettano che un inutile rivalsa nei confronti dei manifestanti e dei black bloc contro cui non si sono potuti battere: hanno accumulato voglia di vendicarsi e di rigettare la violenza che hanno dentro. Viene quindi mostrata la decisione di assaltare la Diaz di notte senza bisogno dell'approvazione di un magistrato, viene mostrato come questa decisione venga presa a freddo, consci delle conseguenze. Il resto del film è sulle botte che vengono inflitte a chi era nella scuola. E poi sulle violenze di Bolzaneto: una caserma divenuta un lager per tre giorni dove furono portati tutti quelli che una volta usciti dalla Diaz erano ancora in grado di reggersi in piedi.

Il film è basato sui verbali e le testimonianze dei processi, visivamente ha un paio di buone idee: l'utilizzo di alcune immagini di repertorio prima per mostrare gli attacchi dei black bloc (la distruzione di un bancomat bancomat da parte dei rivoltosi ripreso dalle telecamere di videosorveglianza, episodio che scatenerà la sempre più furiosa polizia) e poi per mostrare i corpi martoriati dei ragazzi portati via dalle ambulanze dopo l'attacco alla Diaz. Tuttavia la scena più bella è quella precedente il fatale attacco, una ripresa dall'alto della città, le macchine della polizia che percorrono la strada principale a grande velocità, come un serpente luminoso che nella notte striscia tra i palazzi per attaccare l'inerme preda.

Per il resto ore ed ore di botte, urla, pianti, insensatezza. Un centinaio di persone che sono state sottoposte o torture fisiche e psicologiche da parte della polizia. Perchè? Non si sa il perchè, il film non lo dice. In quache punto del film si può intuire l'insensatezza dell'attacco notturno nella scuola, attacco definito da un poliziotto nei processi che sono seguiti come "macelleria messicana". Ma non si capisce mai veramente come quei poliziotti dalle facce immutabili abbiano potuto continuare, aver voglia di battere quei ragazzi come bestie. Il film non lo dice perchè si pone come una cronaca, i fatti raccontati dalle vittime negli atti giudiziari sono alla base della sceneggiatura. Non da giudizi, non trae conclusioni, non invita ad abbracciare teorie complottiste, il film si ferma ad inquadrare quella agghiacciante, insensata, continua, cieca violenza. Le conclusioni le potrebbe trarre lo spettatore, io ci ho visto la polizia che smette di proteggere l'individuo perchè qualcuno più in alto pensa che "l'ordine" sia minacciato e che questa minaccia vada sradicata via senza indugio.
Ma la verità è che un atto simile non ha motivi come non ha giustificazioni.

Questo film, che non pone analisi ma che si limita a raccontare,  non è un bel film, non è un brutto film, va visto perchè è ciò che abbiamo di più vicino al racconto di quei giorni sinistri.

lunedì 9 aprile 2012

Romanzo di una strage

Il 12 dicembre del 1969 una bomba esplode a piazza Fontana a Milano, nella banca dell'Agricoltura, è stata posta nel momento e nel luogo in modo da fare il più alto numero possibile di vittime. L'Italia è immobile di fronte a tanto orrore, a tanta brutalità. Un'atto di deliberata violenza  ad opera di chi? Per quale motivo? Uno dei (mis)fatti più oscuri della storia Italiana: oscuro per la sua lunga risoluzione, per le numerose contraddizioni, per i numerosi capri espiatori ed i mancanti colpevoli ufficiali, per i continui depistaggi ed i tanti personaggi ambigui. Un racconto difficile da illustrare le cui mille sfaccettature rischiano di scontentare sempre qualcuno: tale versione non è stata bene esposta, quel personaggio mal delineato, tale dettaglio tralasciato. Ma i rischi maggiori sono due: dare una risoluzione di parte e/o mettere troppe versioni nella labile trama rendendo il racconto ancora più caotico ed ingarbugliato.
Detto questo l'impresa che si è posto Marco Tullio Giordana con "Romanzo di una strage" (2012) è ardua e toccante.Per dare ordine il regista decide di dividere l'opera in in capitoli individuando in Calabresi (interpratato da Valerio Mastadrea) il filo conduttore.
Luigi Calabresi (Roma 1937-Milano 1972) nel 1969 è commissario presso la questura di Milano affari politici in unperiodo di dura contestazione e tensione tra stato e cittadini. Il lungometraggio comincia con il rapporto con Giuseppe Pinelli (Milano 1928 – Milano1969, iterpretato da Pirefrancesco Favino) proseguendo con l'attentato di piazza  Fontana e gli immediati fermi degli anarchici tra cui lo stesso Pinelli passando per la sua tragica e ambigua fine, procedendo quindi con la campagna di diffamazione di Calabresi fino alla morte di quest'ultimo. Tra la morte di Pinelli e quella di Calabresi vengono illustrate le indagini ufficiali, ufficiose e parallele sulla sanguinosa strage. 
Pinelli (Favino) e Calabresi (Mastandrea)
Tramite l'onorevole Moro (Maglie 1916 – Roma 1978, interpretato da Fabrizio Gifuni) abbiamo la figura della "ragione di stato" dipinta inizialmente come savia e salvifica, dai toni nobili e pacati, gli stessi toni che poi utilizza per giustificare l'insabbiamento del caso. Insabbiamento in nome d'una Repubblica giovane soggetta a continui problemi d'ordine interno che non può permettersi di dubitare del suo contraltare, lo Stato, Stato che ha operato contro il paese in nome di dubbie minacce ed ignoti alleati.
Le piste mostrate con dovizia di particolari sono quella rossa e quella veneta. Ma onde evitare di lasciare le versioni scomode e rischiose senza voce Giordana da ad esse fiato tramite le indagini parallele di Calabresi che si scopre raggirato ed impotente. Le versioni pù audaci sono rese dal dialogo che il commissario milanese ha con (??),  sono le versioni più torbide, prive di prove e che in un aula di tribunale sarebbero distrutte da cavilli giudiziari o dichiarate calunniose. Le versioni figlie della libertà di pensiero e della capacità dell'intellettuale di ragionare lucidamente sui misfatti e trovare i colpevoli, trovare la forza di dire la verità anche quando è soffocata da sotterfugi ed omissioni e di trovarsi impotente di fronte ad essa. Una verità che non può essere filmata ma può solo essere raccontata o scritta come fece Pasolini nel famoso "Io So" che trova nel film la perfetta risoluzione su pellicola. Non può essere filmata perchè la Storia non è mai certa, è come un romanzo dove le scene più banali sono chiare a tutti mentre le altre rischiano di perdersi dietro la parola "ufficiale" e passare inosservate, queste quindi non corrispondo ad un immagine precisa ma sono solo parole. Parole che meritano d'essere raccontate perchè lì in mezzo giace la verità.
Il titolo del film è perfetto perchè combacia perfettamente con il suo merito ovvero questa idea di storia che a causa delle molteplici omissioni assume la forma di romanzo.
Con questo non intendo esprimere giudizi sulle versioni illustrate nel lungometraggio poichè non sono abbastanza documentata sui fatti per farlo, però riconosco all'opera il gusto di raccontare alle generazioni future questa ingarbugliata storia recente.

Ulteriori Visioni, ovvero:

Ulteriori Visioni è un titolo dovuto ad una certa pigrizia nel cercare nomi fantasiosi e nel riscontrare che quelli che avevo in mente erano già occupati. Sarà un blog in cui mi occuperò di ciò che appunto vedo, in tutte le sue accezioni. Soprattutto mi occuperò di cinema, dei film che ho visto o che vedrò su cui ho qualcosa da dire o da ridire. Film come visione e l'opinione  su di essi come ulteriore visione, come punto di vista. Nell'epoca della libertà d'espressione e di parola lasciata a chiunque mi impadronisco anche io di tale diritto alla faccia della professionalità.